Saggezza

Siddharta: oltre le apparenze

di Gianni Da Re Lombardi

illustrazione di Luca Gelosa

 

Siddharta, dello scrittore tedesco Herman Hesse, è il romanzo della ricerca. Tutta una vita per cercare il significato dell’esistenza stessa. Ed è questo il motivo per cui il romanzo è sempre piaciuto molto agli adolescenti e ai giovani adulti. Nella prima parte del romanzo, se sei nobile, fortunato e hai fiducia in te stesso, cavarsela è abbastanza facile. Tutto quello che Siddharta prova, gli riesce bene, persino la scelta ascetica di rinunciare a tutto. Forse dipende anche dal fatto che, in genere, i giovani si appassionano a quel che riesce loro bene, mentre tendono a lasciar perdere quello per cui non si sentono portati.

 

Verso l’indipendenza

A modo suo è un’avventura picaresca ambientata nell’India un po’ storica e un po’ mitologica del IV secolo avanti Cristo: Siddharta, nobile di nascita e di casta, quindi destinato a tutte le fortune, decide di fare di testa sua e di lasciare la sua famiglia. Sceglie quello che dovrebbe essere il normale destino di ogni figlio, ma che nella società umana spesso viene scoraggiato per complessi sistemi di regole sociali.

Insieme all’amico Govinda, Siddharta si unisce a una setta di asceti mendicanti, i Samana. Praticano yoga anche se il romanzo non lo dice esplicitamente. Fra essi Siddharta si rivela un allievo particolarmente dotato, al punto di imparare in soli tre anni tutto quello che poteva apprendere, dal controllo del respiro fino al rallentamento dei battiti cardiaci. Avrebbe potuto persino imparare il prodigio dei prodigi, camminare sulle acque, se non fosse per un imprevisto, fatidico come tutti gli imprevisti: arriva notizia dell’imminente passaggio in zona del Buddha. Siddharta e Govinda decidono di abbandonare la setta per incontrarlo.

 

Sulla via del Buddha

L’incontro cambia il destino di entrambi gli amici. La reazione dei due però è totalmente diversa. Govinda decide di seguire il Buddha, conquistato dal suo insegnamento, mentre Siddharta decide altro. Anche se ha compreso subito l’eccezionalità del grande personaggio che ha incontrato, il suo insegnamento non lo convince del tutto. Persino la saggezza dell’Illuminato non gli basta. Cerca qualcosa di più, anche se non sa cosa sia. Decide comunque di cambiare vita, per la seconda volta. Il suo nuovo cambiamento viene segnato dall’incontro con una donna, la cortigiana Kamala. Questa seduce ed è sedotta da Siddharta, avviando una relazione di apprendimento e crescita reciproca: Kamala insegnerà a Siddharta l’arte dell’amore, mentre Siddharta insegnerà a Kamala tutto quello che sa: pensare, digiunare, aspettare. La prima lezione di Kamala è «l’amore si può mendicare, comprare, regalare. Lo si può trovare per caso per strada, ma non si può estorcere».

 

Il distacco, una via verso il successo

In tutti i casi, come succede spesso nelle storie d’amore, Siddharta non può permettersi di corteggiare Kamala restando nelle condizioni di mendicante. Deve guadagnare qualcosa, comprare abiti, acconciarsi in modo gradevole. Siddharta trova impiego presso un ricco commerciante, dove dimostra lo stesso talento e lo stesso distacco dimostrato presso i Samana. Impara l’arte del commercio, della mediazione, come trattare con la gente, come trattare il denaro, ma con il totale distacco da successi e insuccessi. Questo ne farà un buon commerciante, perché comunque riesce a guadagnare di più di quanto perde, ma non un grande mercante, perché non è realmente appassionato del commercio, almeno per ora.

È quel che succede spesso a chi pratica yoga: trova una tranquillità e un relativo distacco per cui, per esempio, il lavoro diventa un’attività da svolgere, ma non la passione maniacale della propria vita. Siddharta viaggia, conosce persone, città e costumi di tante persone ma, nel frattempo, il grosso delle sue soddisfazioni arrivano da Kamala, che un giorno gli dirà: «Sei il miglior amante che io abbia mai visto. Sei più forte degli altri, più flessibile, più tenace».

 

Ricchezza e depressione

Siddharta attraversa un’altra fase. Diventa ricco e si appassiona al gioco d’azzardo. Per amore del gioco, diventa implacabile nel commercio: vuole guadagnare sempre di più per giocare sempre di più. Ha perso il distacco ascetico che aveva prima e, perdendolo, perde di vista se stesso. Arriva lo smarrimento e la depressione, persino il desiderio di cercare la morte. A questo punto, quando la sua vita sembra senza scopo, Kamala resta incinta.

 

L’amico ritrovato

Siddharta però sembra avere paura dei destini segnati. Padre, famiglia, dinastia sono un percorso che non fa per lui. Fugge, abbandona la città e forse sente il richiamo della vita solitaria e ascetica. In riva a un fiume, che simboleggia sia la separazione fra territori sia lo scorrere del tempo, Siddharta affronta la propria crisi e rinascita, incontrando un monaco dalla testa rasata.

È l’antico compagno di viaggi ed esperienze Govinda, invecchiato, con cui dialoga. «Effimero è il mondo delle apparenze», dice Siddharta, riassumendo la sua esperienza. «Rapida si rivolge la ruota delle apparenze». Tutto quello che Siddharta e Govinda hanno vissuto è trascorso, come il fiume, e non esiste più salvo che nei ricordi, evanescenti come i sogni. Il fiume rappresenta sia il passaggio fra fasi diverse della vita, sia la continuità del tempo.

 

Saggezza e conflitto

Il nuovo incontro chiave è quello con un barcaiolo, lo stesso che anni prima aveva fatto attraversare a Sid­dharta il fiume nel senso contrario. Siddharta gli chiede di poter diventare il suo aiutante e di imparare il suo mestiere. Facendo il barcaiolo, anni dopo verrà casualmente raggiunto da Kamala, invecchiata, e il figlio di entrambi, ormai cresciuto e diventato adolescente. Kamala, convenientemente per la semplicità della trama, muore. Il figlio resta a vivere col padre, dove si genera l’eterno conflitto fra genitori e figli. In condizioni naturali, nel caso degli altri mammiferi, in genere quando il cucciolo diventa giovane adulto è la madre stessa che lo abbandona e lo incoraggia a farsi la sua vita, disinteressandosi del suo destino. Nel caso degli esseri umani le cose sono più complicate. Il lunghissimo periodo di sviluppo, la capacità dei genitori di anticipare il futuro in base all’esperienza, le complicate regole culturali umane fanno sì che genitori e figli ripetano entrambi quelli che, visti esternamente e col senno di poi, sono sempre gli stessi errori. Probabilmente si possono sintetizzare così:

  1. I figli non capiscono cosa vogliono i genitori
  2. I genitori si sforzano di evitare che i figli facciano gli stessi errori che hanno fatto loro da giovani
  3. In tutti i casi, è molto difficile imparare dall’esperienza degli altri, e spesso i figli devono compiere le esperienze in prima persona, per imparare da esse.

 

Confronto generazionale

Siddharta si domanda, a proposito del figlio: «Come posso affidarlo a quel mondo, lui, che è tutt’altro che un cuore mite? Non mi diventerà protervo, non mi si perderà nei piaceri e nel gusto della potenza, non ripeterà tutti gli errori di suo padre, non correrà forse il rischio di perdersi?». Domande che probabilmente tutti i genitori si fanno in qualche fase del loro percorso. Il figlio, per spontaneo dispetto, cerca di fare tutto il contrario di quel che gli chiede suo padre: «Tu vuoi che io diventi come te, anch’io così pio, così mite, così saggio! Ma io, ascolta bene, preferisco, proprio per farti dispetto, diventare un brigante e un assassino da strada e finire all’inferno, piuttosto di diventare come te!».

 

Cammino personale

La morale? Bisogna fare il proprio percorso e qualsiasi risultato non è mai definitivo: se diventi saggio, sei saggio solo temporaneamente, e la tua saggezza durerà solo per il tempo per cui la coltiverai, come un atleta sarà in forma solo negli anni in cui si allena, e se smette di allenarsi, non potrà che indebolirsi. Tutto si scopre provando e correggendo. La vita, come dice Robert M. Pirsig nello “Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, e prima di lui molti altri saggi, è il cammino lungo le pendici della montagna, non l’arrivo in vetta. La vita è vivere. Come il fiume, attraversato tante volte da Siddharta. Il fiume non è né la sorgente, né il suo percorso, né il suo sbocco quando arriva al mare. Il fiume è lo scorrere dell’acqua.

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