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Allergia? No grazie

di Laurence Donnini

 

Graminacee, betullacee, composite. C’è chi solo al pensiero diventa nervoso e, con la primavera, è vittima dell’allergia da polline. A soffrirne è quasi 1 adulto su 3 e oltre il 40% dei bambini. Il primo caso di raffreddore da fieno è stato registrato nel 1819. Come mai sono così diffuse? «Per capirlo, bisogna chiarire il concetto di allergia – spiega Attilio Speciani, allergologo e immunologo clinico, esperto in omeopatia – Fino a poco tempo fa, l’allergia era considerata un difetto dell’organismo, mentre oggi si parla di allergia come difesa. Nasciamo tutti allergici e intolleranti a ogni cosa. È il controllo attivo del singolo a fare la differenza tra chi mantiene la tolleranza (il sano) e chi la perde diventando allergico e intollerante. L’allergia può essere vista come un segnale di perdita di controllo che richiede attenzione, per impostare un cambiamento terapeutico». Basti pensare al neonato: alla nascita è intollerante a tutto. Nel primo anno, il suo organismo impara gradualmente ad accettare le varie sostanze. Se il contatto con l’esterno avviene rispettando i ritmi fisiologici la tolleranza si attiva e il mondo esterno non è più minaccioso.

 

Quando è troppo è troppo

 

Se questa capacità tollerogena si perde, iniziano i problemi. Secondo le scoperte di alcuni importanti allergologi (come Kent HayGlass e Polly Matzinger) le allergie non sarebbero malattie perenni, bensì segnali di “troppo pieno” dell’organismo, che dice: «Non posso più tollerare certe sostanze, creo infiammazione». A questo punto la missione del medico non è più solo di tenere sotto controllo i sintomi bensì soprattutto rimodulare la risposta del corpo. Ma “troppo pieno” di cosa? In primis dei fattori legati all’ambiente e allo stile di vita, capaci di scatenare la reattività allergica: «Agenti inquinanti e altre sostanze potrebbero essere eliminate più tranquillamente se l’ambiente ci desse tregua – sottolinea Speciani – Vivere in un ambiente assediato dai gas di scarico, polveri sottili e altri veleni crea nel corpo uno stato di irritazione latente. «Il nostro sistema immunitario gestisce ogni giorno l’attacco degli inquinanti e questo consuma le nostre capacità di adattamento – spiega -Fortunatamente possiamo contare oggi su alcune acquisizioni di notevole importanza pratica per il trattamento del raffreddore da fieno, della congiuntivite allergica e dell’asma. Per esempio, se prima il legame tra allergie e cibo era visto solo come marginale, sempre di più la letteratura scientifica punta l’attenzione sull’infiammazione da cibo come una delle componenti più importanti della reattività allergica». Questo significa anche maggiore consapevolezza nel nutrirsi: la monotonia innesca infatti un fenomeno di sensibilizzazione e uno stato irritativo silente che espone poi allo scatenarsi di allergie nella stagione dei pollini. È importante in questo senso valutare con adeguati esami (come per esempio, il Recaller Program) qual è la propria situazione, specie riguardo a due gruppi di alimenti dalle elevate potenzialità infiammatorie, proprio perché consumati in continuazione: i lieviti e i latticini. Basti pensare alla prima colazione per eccellenza: cappuccino e brioche, considerati un bene irrinunciabile. Salvo poi ritrovarsi immersi nei fazzoletti in primavera.

 

Psiche e corpo un tutt’uno

 

Ma non si tratta solo di impostare una sana dieta di rotazione o di limitare il contatto con le sostanze inquinanti. «Un altro degli aspetti più interessanti riguardanti la moderna allergologia – dice Speciani – è quello evidenziato già nel 2001 dal premio nobel Rita Levi Montalcini al Congresso Europeo di allergologia tenutosi a Berlino: l’importanza, nella reattività allergica, degli aspetti emozionali». Un particolare stato emotivo è in grado di influenzare sia in modo positivo sia negativo le reazioni allergiche di una persona. Nel 1986, in effetti, Rita Levi Montalcini fu insignita del Premio Nobel proprio grazie alla scoperta dell’NGF (Nerve Growth Factor), citochina prodotta dall’organismo in seguito a momenti di forte cambiamento vitale capaci di moltiplicare per diverse volte la reattività allergica di una persona. Qualunque evento che investa potentemente le emozioni (la fine di una relazione, un lutto, un trasloco), può indurre il corpo a identificare con un certo elemento qualcosa di pericoloso per l’individuo.

 

Amici pollini

 

Se si considera la risposta allergica non più una malattia cronica ma un segnale di allarme, la guarigione è a portata di mano. Quindi, se da un lato è utile controllare i sintomi con l’aiuto delle terapie naturali e, ove necessario con i farmaci adatti, dall’altro il primo passo è una strategia di desensibilizzazione a tutto campo, come la somministrazione dell’allergene a bassa dose. Uno studio importante ha evidenziato che è possibile “rifare amicizia” con l’allergene somministrandolo in basse concentrazioni, nei casi più seri sotto l’attenta sorveglianza del proprio allergologo: persino i bambini fortemente allergici alle arachidi hanno visto ridurre la gravità della risposta allergica (20% dei piccoli) quando non sono completamente guariti (l’80%, una percentuale che fa riflettere). «Due mesi prima della stagione si può assumere il polline per via omeopatica come prevenzione – dice Speciani – In questo caso si assumono granuli omeopatici contenenti diluizioni del polline a cui si è allergici. Per esempio, se il problema sono le betulle, si prenderà polline di Betulla bianca alla 9 ch. Se invece si è allergici a più piante, esiste un complesso omeopatico che contiene i pollini di diverse famiglie: Gramigna, Erba mazzolina, Nocciolo, Betulla bianca, Parietaria, Artemisia e Ambrosia diluiti alla 30ch (Pollensì, Boiron): 5 granuli 2 volte alla settimana. 2 perle 2 volte al giorno di estratto oleoso di Ribes nigrum e 1 fiala al giorno di Manganese, Zinco e Rame completano la prevenzione naturale. A ciò occorre unire un’adeguata rotazione degli alimenti, nuovi modelli di comportamento a tavola (qualcosa di crudo, fresco e colorato prima di iniziare qualunque pasto) e una costante attività fisica per ridurre lo stato infiammatorio dell’organismo e aiutarlo a gestire meglio la risposta immunitaria.

 

La dieta di rotazione

Prima la buona notizia: «Nessun cibo è un nemico da eliminare e di nessuno dei nostri preferiti dobbiamo fare a meno a lungo: perché l’organismo si liberi delle sostanze infiammatorie prodotte con l ’alimento X bastano 3 giorni», spiega Speciani. Quindi non esistono divieti assoluti e permanenti. La brutta notizia è che nei 3 giorni di astensione, sono da evitare tutti i “parenti” di quella categoria di cibi. Per esempio, oltre al latte, no anche a tutto ciò che ne contiene anche in minima parte, come prosciutto cotto, biscotti, cioccolato. «Eliminare totalmente un alimento, invece, è controproducente, perché innesca la perdita di tolleranza verso quella sostanza: se si rimangia a distanza di tempo, si possono avere forti reazioni avverse», rimarca il medico. Ma come fare a individuare gli alimenti che provocano infiammazione? Meglio affidarsi a un test come il Recaller Program e farsi seguire da un esperto, in modo da individuare l’approccio più adatto.

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