Guru YogaInsegnanti

Sri K. Pattabhi Jois

di Giuliano Vecchiè

 

K Pattabhi JoisEssere figli di un gigante dello yoga non è responsabilità da poco. Ma ciò che colpisce di Manju Jois, figlio di Sri K. Pattabhi Jois, è l’estrema semplicità. Se è vero che da molti allievi è già chiamato “guru”, è anche vero che lui ci scherza moltissimo e cerca di apparire sempre come una persona estremamente alla mano, libera da sovrastrutture, e priva di quell’alone misterioso di chi “vuol fare” il guru senza esserlo. L’Ashtanga Vinyasa Yoga, stile reso famoso da Pattabhi Jois, sta diventando sempre più popolare anche in Italia, per merito di molti maestri stranieri che arrivano nel nostro Paese per diffondere la conoscenza di questa pratica.

Il diretto “erede”di Pattabhi Jois, è proprio il figlio primogenito, Manju. Invitato al Gymnasium Clubdi San Lazzaro di Savena, per il suo primo workshop a Bologna, Manju si è prestato a raccontare il suo “augusto” genitore.

 

Manju, chi è veramente Sri K. Pattabhi Jois?

«Beh, che altro potrei dire, è il più grande maestro di Ashtanga Vinyasa Yoga. Se si vuole conoscere qualche cosa di lui, posso dire che è nato in India, in un piccolo villaggio chiamato Kowshika, ed è cresciuto insieme a quattro fratelli e tre sorelle. Alcuni divennero contadini, altri sacerdoti, mentre a lui toccò un destino diverso: animato da un desiderio di ricerca, pensò di trasferirsi a Mysore per iscriversi al Sanskrit College al fine di apprendere la lingua sanscrita e il Vedanta. Fu lì che un giorno vide Sri T. Krishnamacharya insegnare yoga e fu talmente incuriosito dall’argomento che entrò nella sua scuola e divenne uno studente modello. Krishnamacharya lo sottopose a varie prove al fine di accertarne la serietà, e il giovane Pattabhi dimostrò ampiamente di essere degno della sua fiducia. Solo così il grande guru cominciò a mostrargli gli asana e Pattabhi Jois continuò, da allora, a imparare e a insegnare a sua volta a Mysore».

 

Suo padre è stato allievo di Sri T. Krishnamacharya, ma l’Ashtanga Yoga era veramente l’unico stile che questo grande maestro insegnava?

«Diciamo che l’Ashtanga Yoga è la pratica più tradizionale che deriva dall’“Hatha Yoga Pradipika”, ciò che comunemente è chiamato Hatha Yoga. La tecnica del Vinyasa, “movimento accompagnato dal respiro”, è la melodia, il ritmo che unisce tutte le posizioni di questa pratica, sono le vibrazioni e la sensazione di calore percepite nel corpo. Ecco perché tale stile viene definito Ashtanga Vinyasa Yoga».

 

Talvolta si sente dire che l’Ashtanga Vinyasa Yoga è più adatto ai giovani, usato al solo fine di non annoiarli nella pratica. Cosa pensa al riguardo?

«Mah, non sono molto d’accordo. Sta scritto nello “Yoga Koruta” di Vamana Rishi: “Vina vinyasa yogena asanadin na karayet ” che significa “oh yogi, non praticare gli asana senza vinyasa”, altrimenti non otterrai i benefici sperati. Vinyasa è fondamentale nell’esecuzione delle posizioni anche e soprattutto in una sequenza ritmata come il Saluto al Sole. Chi dice che questa pratica sia solo per giovani non ha avuto modo di approfondire la tecnica e lo yoga in generale. L’Ashtanga Vinyasa Yoga è per tutti».

 

Una curiosità: come può una persona estranea allo yoga praticare questo metodo? Non crede sia difficile?

«Assolutamente no. Fondamentale è avere passione: con la passione puoi fare qualsiasi cosa. Molti si scoraggiano alle prime difficoltà e rinunciano. Si lasciano condizionare da pensieri negativi che bloccano la mente impedendo loro di praticare. Ma se credi in te stesso, nelle tue capacità e ti impegni in una pratica costante alla fine sarai soddisfatto di ciò che hai raggiunto».

 

Ma torniamo a suo padre. Cosa vuol dire per lei essere figlio di Pattabhi Jois?

«Per me è una benedizione. In particolare per tutto ciò che mi ha permesso di conoscere. Il mio più vivo desiderio è trasmettere quello che ho appreso sin da bambino e insegnare sulle orme di mio padre lo yoga in tutto il mondo».

 

Quale tipo di posizioni le insegnava suo padre da piccolo? Seguiva le serie normali dell’Ashtanga Vinyasa Yoga, oppure adattava la pratica alla sua età?

«A 7 anni potevo fare tutte le posizioni che volevo, non era troppo rigoroso e mi lasciava libero di praticare gli asana che mi piacevano di più. Ma quando cominciai a crescere, lentamente, diventò più severo per essere sicuro che imparassi correttamente. Da allora ho sempre dovuto eseguire le sequenze in sua presenza, voleva accertarsi di persona che i bandha fossero giusti, così come la respirazione Ujjayi Pranayama, etc. Ciò mi ha aiutato a padroneggiare gli asana. Non mi ha mai detto di lasciare una posizione per passare a una nuova, fino a quando non l’avessi imparata in maniera profonda. Al contrario mi ha sempre incoraggiato a trovare una via alternativa al fine di possederla completamente. Questo atteggiamento non solo mi ha reso molto flessibile, ma mi è stato di grande aiuto. Ecco perché credo che lo yoga dovrebbe essere insegnato nel modo in cui mio padre ha fatto con me».

 

Che cosa avete in comune lei e suo padre in termini caratteriali?

«Sicuramente c’è sempre stato un buon rapporto fra di noi. Abbiamo la stessa passione per lo yoga, per l’Ashtanga Vinyasa Yoga e per l’insegnamento».

 

Com’è stata la prima esperienza negli Stati Uniti, quando foste invitati a insegnare da David Williams e Nancy Gilgoff?

«Fortunatamente avevo già un’idea di cosa aspettarmi dagli USA e per mio padre fu lo stesso. Non ha avuto problemi di adattamento perché era un po’ come essere a casa, poteva mangiare il cibo indiano che gli preparavo, parlare la nostra lingua. Insomma ha molto apprezzato quel periodo».

 

Lei decise nel 1975 di rimanere negli Stati Uniti e di non ritornare in India. Per quale motivo, e come la prese suo padre?

«Non è andata proprio così. Inizialmente non avevo alcuna intenzione di rimanere in quel Paese. Mi piaceva stare in India. Tuttavia, in America ho avuto modo di conoscere molte persone provenienti da ogni parte del mondo. Alcuni studiavano a Encinitas (California) e mi invitarono, poi, a insegnare da loro. Anche David Williams mi propose di tenere delle lezioni alle isole Hawaii. Decisi quindi di restare e di cominciare lì la mia attività. Mio padre ne fu contento, ma ancor più “orgogliosa” fu mia madre, che mi ha sempre incoraggiato a seguire la mia strada personale».

 

Sia suo padre sia B.K.S. Iyengar sono stati allievi di Sri T.Krishnamacharya. Perché allora questa differenza di stile tra l’Ashtanga Yoga e l’Iyengar Yoga?

«A differenza di mio padre, B.K. S. Iyengar iniziò a insegnare agli occidentali, che per costituzione e flessibilità sono molto diversi dagli indiani. Per questo motivo dovette in qualche modo cambiare leggermente la tecnica, adattandola alle circostanze in cui si trovava. Percorse, per tanto, delle strade alternative per arrivare alla postura corretta. Apportò delle modifiche, che personalmente non ritengo scorrette. Non fu mai lui a definire la pratica Iyengar Yoga, ma furono i suoi allievi a battezzarla così. Iyengar ha sempre chiamato ciò che insegna Ashtanga Yoga».

 

Una della maggiori differenze che si possono riscontrare fra i metodi Iyengar Yoga e Ashtanga Vinyasa Yoga è l’uso di mattoni, corde, e attrezzi vari, che normalmente non vengono usati nell’Ashtanga Vinyasa Yoga. Cosa ci può dire a riguardo?

«L’Ashtanga Yoga è una tecnica molto antica. In passato non si utilizzavano degli attrezzi per eseguire le posizioni, ma oggi a causa di un cambiamento di stile di vita che influenza il nostro corpo, sono necessari dei supporti. Non sono contro l’uso degli attrezzi se questi possono agevolare una migliore esecuzione delle posizioni. Tuttavia, non si dovrebbe dipendere dai supporti in eterno: possono della pratica».

 

Un ultimo pensiero su Pattabhi Jois come padre?

«È sempre stato, e lo è tuttora, molto affettuoso verso noi figli e verso mia madre. Ha cercato di darci la migliore educazione. Mi ha voluto trasmettere lo yoga e desiderava che lo imparassi al meglio per poter insegnare l’Ashtanga Vinyasa Yoga. Vado a trovarlo ogni anno e passo con lui molto tempo. È un uomo di grande cultura, da cui c’è molto da imparare. Considero una fortuna essere suo figlio».

 

Una vita da Guruji

Sri Krishna Pattabhi Jois è nato in una notte di luna piena nel luglio del 1915, giorno del Guru Purnima (giornata dedicata alla venerazione dei guru, ndr). Sin dall’infanzia, come per la maggior parte dei bambini bramini, gli vennero insegnati i Veda e i rituali hindu. Tutto ciò contribuì a delineare precocemente la sua strada. Non ancora adolescente, infatti, partecipò a una dimostrazione di yoga dove incontrò il suo grande maestro, Sri T. Krishnamacharya. Ma il suo destino bussò alla porta verso la fine degli anni Trenta, quando il Maharaja di Mysore, mecenate di T. Krishnamacharya, propose al giovane Pattabhi di insegnare al Sanskrit College. Il 1° marzo 1937 nacque così lo Yoga Department all’interno della scuola. Nei molti anni di intensa e continua attività al Sanskrit College, Guruji ottene il titolo di Vidvan “Dottore in materie vediche”. Nel 1964, André Van Lysebeth fu il primo occidentale a studiare con Pattabhi Jois e, solamente intorno al 1972, arrivarono i primi americani. In breve tempo l’Ashtanga Vinyasa Yoga cominciò a diffondersi in America. Sri K. Patthabi Jois ha insegnato ininterrottamente per 63 anni, e ancora oggi continua a farlo con passione.

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio