Meditazione e Guarigione: Tim Parks e la Trasformazione attraverso il Dolore
Tim Parks racconta il suo viaggio nella meditazione e guarigione. La meditazione Vipassana per guarire dal dolore cronico. Una testimonianza potente su come mente e corpo siano profondamente connessi.
di Paola Tavella
La meditazione e la guarigione non è stata una scelta naturale per Tim Parks. È stata una strada obbligata, emersa da un lungo percorso di sofferenza e resistenza. Conosciuto per i suoi romanzi, saggi e traduzioni, Parks ha dovuto affrontare una crisi fisica e mentale che lo ha costretto a ripensare profondamente il rapporto tra corpo e mente. Una crisi che lo ha portato a esplorare la meditazione come via di guarigione.
Nel libro “Insegnaci la quiete” (Mondadori, 2010), Parks narra la sua battaglia contro il dolore pelvico cronico, un disturbo debilitante che non trovava soluzione nei metodi medici tradizionali. Dopo molte diagnosi incerte e terapie inefficaci, il suo viaggio lo ha portato a scoprire un approccio radicalmente diverso: imparare a respirare, rilassarsi e lasciar andare il controllo attraverso la meditazione Vipassana.
Ma come si passa da una condizione di scetticismo verso la meditazione a farne una pratica quotidiana che cambia profondamente la vita? In questa intervista, Tim Parks racconta le difficoltà iniziali, le resistenze personali e culturali, e i benefici che la meditazione gli ha portato, non solo per la guarigione del corpo ma anche per la trasformazione della mente.
Quando il corpo si fa sentire
Il suo libro può essere letto come la storia di una lunga resistenza alla guarigione. È così?
«È vero, non si tratta di un libro sulla meditazione né sulla malattia, ma della testimonianza di un percorso personale. Quanto alla resistenza, ricordo che quando ho cominciato a soffrire, cercavo una cura alternativa perché avevo paura degli interventi chirurgici nella zona urogenitale, non volevo perdere la funzione sessuale. Però ero altrettanto spaventato dalle pratiche che entravano in contraddizione con la mia storia familiare e religiosa. I cristiani provano ansia quando devono aprirsi a qualcosa che esula dalla loro tradizione. Mio fratello, se gli consiglio un po’ di yoga per controllare i suoi attacchi di panico, mi oppone il timore che, se dovesse funzionare, si troverebbe smarrito nella sua collocazione rispetto al mondo».
Si può dire che lei è stato condotto dal suo corpo verso la meditazione?
«Soffrivo di dolori cronici e cercavo disperatamente di non farli entrare in quella che consideravo la mia vita vera, ma non ci riuscivo. Pensavo, però, che i dottori che volevano a tutti i costi operarmi non ci capissero niente, così ho cercato altrove. Sono andato da un dottore ayurvedico mentre ero in India, ma solo perché mi sembrava facesse parte del viaggio. Un po’ come chi va in Oriente per meditare, ma in realtà cerca di cambiare la sua vita con l’invenzione di un sé più interessante. Forse sarebbe più utile abbassare la cresta, diminuire quel sé.
Alla fine le mie resistenze hanno ceduto. Sono sempre stato fisicamente molto teso, invece ora quando medito e arrivo al punto zero mi ammorbidisco, posso contemplare. Stamattina tutto il lato sinistro del corpo mi doleva, ma mi era del tutto indifferente. Non c’è bisogno di viaggiare per trovare chissà quali esotismi. È già tutto qui».
Dalla resistenza alla scoperta
E qui, che cosa ha trovato?
«Dapprima ho incontrato un libro di esercizi di respirazione, e poi un terapeuta shiatzu di cui all’inizio diffidavo: è il padre di un compagno di scuola di mio figlio, un uomo che non ha ricevuto alcuna forma di istruzione dopo i 16 anni. Mi sono reso conto che questo aveva influenzato la mia opinione nei suoi confronti e su quello che mi poteva dare, ma la verità è che lui mi piaceva. Mi ha suggerito di seguire un corso di meditazione, soprattutto per migliorare la postura. Diceva che ero troppo curvo. Oramai ho finito per accettare che mente e corpo sono separati solo nel dizionario, e che se il corpo si risana, anche la mente cambia.
Adesso stento a pensare la vita mentale e la vita fisica come separate. Come mi sento fisicamente, ormai, è identico a come mi sento mentalmente. Ho capito che se voglio stare bene devo affrontare i problemi che ho lasciato marcire dentro di me per tanto tempo».
L’impatto della meditazione sulla vita
Che cosa ha provato le prime volte che ha provato a meditare?
«Chiudendo gli occhi mi sono trovato al buio. Il territorio del buio è difficile ma soprattutto vasto, impossibile da dominare. Era un’avventura. Avevo sempre creduto che la vita fosse ristretta, invece era così più grande, più ricca. All’inizio, nei miei primi ritiri, speravo che si sarebbero prodotti “effetti speciali”. Ai principianti qualche volta succede, ma poi, quando tutto si calma, si arriva a qualcosa di più interessante. E più bello».
Quanto tempo ha impiegato per acquisire una pratica regolare?
«Circa un anno e mezzo per arrivare alla pratica quotidiana. Prima andavo a un ritiro, e allora tenevo duro per qualche tempo. Dopo mollavo, poi ricominciavo. Adesso medito un’ora appena sveglio, anche se non è il mio momento migliore. Per un lungo periodo, siccome soffrivo d’insonnia, ho meditato di notte. Mio figlio, che studia biologia molecolare, sostiene che dal punto di vista ormonale il momento migliore è fra le tre e mezzo e le quattro e mezzo del mattino. E infatti ai ritiri è proprio quella l’ora in cui ci si sveglia e si pratica».
Meditazione e scrittura
La meditazione influenza il suo lavoro?
«Come romanziere, già passavo molte ore a osservare e basta. Godevo nel guardare, è sempre stato così. Meditando, via via cambiano i nessi fra le cose che osservi e i pensieri che formuli, si rivelano nuovi collegamenti fra le immagini. I primi nessi che cambiano riguardano proprio il corpo. Mi sono accorto che i corpi sono molto più complessi e vasti della più difficile lezione di genetica».
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Questo viaggio, narrato con profondità e autoironia in “Insegnaci la quiete”, è un invito a scoprire come meditazione e guarigione possano trasformare il rapporto tra corpo e mente. Tim Parks dimostra che, a volte, è proprio attraverso il dolore che si può ritrovare la quiete
Romanziere traduttore
Prima di “Insegnaci la quiete” Tim Parks ha scritto diversi romanzi, tra i quali “Lingue di fuoco, Europa” (candidato al Booker Prize), “Destino” e “Il silenzio di Cleaver”. “Italiani” e “Un’educazione italiana” sono due ironici saggi sulla sua esperienza in Italia . È coordinatore della Laurea Magistrale in traduzione specialistica presso l’Università IULM di Milano e ha trattato la tematica della traduzione nel suo “Tradurre l’inglese: questioni di stile”, libro in cui analizza la traduzione italiana dei modernisti inglesi. Collabora regolarmente con il New York Review of Books, il London Review of Books e, in Italia, con Il Sole 24 Ore. Vedi il suo sito qui