InsegnantiInterviste

Gabriella Cella: i due volti della forza

di Anna Volpicelli

 

Tutti i suoi allievi, ma anche chi l’ha conosciuta leggendo i suoi numerosi libri, non ha alcuna esitazione nel definire Gabriella Cella Al-Chamali una vera maestra, generosa e attenta, e un’instancabile ricercatrice. La sorpresa però arriva quando la porta della shala si chiude e le luci si spengono. La si osserva nelle stanze della sua abitazione-ashram immersa nei colli piacentini, nelle faccende domestiche, mentre prepara la tavola per alcuni amici, ospiti improvvisi, si prende cura del suo orto, chiacchiera con il marito e accarezza i suoi cani. È in questa quotidianità, intessuta di tranquillità, accoglienza e gentilezza che emerge la sua umile saggezza, il suo essere una dea rivoluzionaria, caparbia e tenace, dotata di uno spumeggiante senso dell’umorismo, ma soprattutto la sua forza di essere ciò che è, una donna che ha trovato nello yoga la sua via di conoscenza, crescita e maturazione. Perché, come insegna, «lo yoga è percorso per sé, è un cammino individuale. Un potente mezzo di autoanalisi, se seguito con disciplina e dedizione». Ed è questo l’invito che rivolge a chiunque ha la fortuna di starle accanto anche solo un’ora o un’intera giornata: di cercare il proprio sentiero, di non fermarsi, ma di avere il coraggio di andare negli abissi paradisiaci di ogni asana, di ogni respiro e ascoltare ciò che emerge. È solo con questa attitudine che si può comprendere il misterioso e complesso universo dello yoga, il prezioso dono che è ogni essere umano. Non esiste, infatti, alcun maestro, se non la propria voce interiore. Il resto, è un utile supporto per imparare a riconoscere il linguaggio di questa voce, ad agire secondo la sua volontà, abbandonando ogni conflitto e resistenza per assecondare e comprendere ogni sua parola.

 

Ogni anno ricevi numerose richieste di iscrizioni alla tua scuola, ma non tutti possono entrare. Come selezioni i tuoi allievi?

Di solito scelgo persone che hanno già seguito qualche seminario con me, che ho conosciuto. Il mio è uno yoga particolare, perché lavoro molto sul femminile, e, quindi, voglio che siano studenti con una buona motivazione, seri e disponibili a intraprendere un percorso individuale, prima di tutto. Purtroppo oggi lo yoga si è ridotto a una disciplina che chiunque può insegnare. In realtà non è così. Sono 40 anni che pratico e insegno e sono ancora in cammino perché c’è sempre da imparare. Lo yoga mette costantemente alla prova, soprattutto noi donne.

 

Hai portato una sorta di rivoluzione nell’ambito dello yoga, declinato al femminile. Hai dato vita a uno stile molto personale. Perché questa necessità di staccarti dai metodi classici?

È avvenuto tutto in modo spontaneo. All’inizio ero timida, non mi sentivo molto sicura. Mi sembrava di essere un’esibizionista e di allontanarmi dall’ortodossia dello yoga. È stata la mia docente di indologia, Marilia Albanese, a suggerirmi di comunicare questo mio metodo. Io porto ciò che sono. Non ho abbandonato e cancellato la tradizione: questa è fondamentale. Ci sono stati molti maestri che, nella storia dello yoga, hanno modificato tale disciplina adattandola all’epoca in cui vivevano e così ho cercato di fare anche io. Mi è sembrato di averne il diritto, dopo tanti anni. E poi lo yoga è una disciplina troppo maschile e io da donna, sentivo la necessità di scoprire un’altra forma, e ho trovato i miti, il simbolo.

 

A proposito di simboli e di miti. Spesso ti viene criticato il fatto che utilizzi o attingi a delle divinità che non appartengono alla nostra cultura. Cosa rispondi a queste osservazioni?

Il mito, l’archetipo è qualcosa che sta già dentro di noi e attraverso queste forme che io ho ideato, salgono in superficie. Non bisogna attaccarsi alla dea in sé, ma percepire, comprendere e sentire la forza che appartiene a tale figura. Se il suo nome è Durga, Aditi non ha alcuna importanza, fondamentale è il valore che essa veicola. C’è un archetipo comune per qualsiasi essere vivente, ci attraversa tutti allo stesso modo. Io l’ho scoperto nell’ambito dell’induismo, ricco di queste icone, perché anche in una disciplina maschile come lo yoga, viene riconosciuto il valore della donna, colei che è in grado di procreare materialmente e mentalmente.

 

Anche oggi che la figura femminile è cambiata, che si è avvicinata forse troppo al mondo maschile?

Il problema di oggi, è la perdita dei ruoli. Mio marito è siriano, e nonostante ciò che sta succedendo oggi nel paese e le continue critiche che vengono rivolte al mondo musulmano, in Siria ho scoperto una società meravigliosa, con dei ruoli bene definiti. La donna ha una grande importanza centrata nel suo femminile, e l’uomo nel suo essere maschile. Noi, invece, stiamo vivendo un momento di grande confusione.

 

Come può comportarsi una donna, soprattutto se ha intrapreso la via yogica, che ha scelto, cioè, di costruire la sua vita attorno al principio della non-violenza, in una società troppo aggressiva come la nostra?

Il guaio del momento è proprio questo c’è tanta aggressività e a volte malvagità. Chi viene qui da me però ha una luce diversa, rispetto a quella che circola nel mondo “esteriore”. Se io parlo con qualcuno e mi ascolta, poi questa persona torna a casa dalla famiglia o dagli amici e racconta parte dei nostri discorsi avviene una piccola trasformazione. Ciò che si trasmette sono semi che vengono piantati, da cui nasceranno meravigliose piante. Quando ero giovane, mi sono interessata di politica, ero una sindacalista e tentavo di mobilitare le masse, in realtà non muovevo nulla. Oggi, invece, che parlo all’individuo, riesco a mobilitare tante persone. Se ciò che portiamo nel mondo è importante per noi, se ci crediamo davvero allora possiamo cambiare qualcosa. È vero, siamo sempre in pochi rispetto alla massa, ma io continuo ad andare avanti, sono un’idealista, sono rimasta tale e continuo così. Esistono nell’universo yogico, insegnanti che parlano bene, ma praticano male a cui dobbiamo fare attenzione perché usano la disciplina per ottenere dei vantaggi. Esistono, però, anche tante persone sincere e oneste.

 

Come si riconosce un buon maestro?

Deve ispirare. Se si sente dall’altra parte accoglienza vera allora vale la pena provare, conoscersi, guardarsi negli occhi, iniziare un percorso insieme. Se si sente il rifiuto interno, bisogna mollare la presa. Ciò che non sopporto è il culto della personalità. Chi indossa un ruolo, e guarda il resto del mondo dall’alto al basso. Un buon maestro è modesto, umile. Io quando insegno continuo a imparare dai miei studenti, sono loro che insegnano a me. E non lo dico come frase fatta, è la verità. Ci vuole molta onestà e semplicità per permettersi di insegnare qualcosa agli altri.

 

Come hai cominciato?

Ho iniziato perché ero malata. Avevo continue coliche biliari e non ne potevo più di ricoveri in ospedale e di prendere farmaci. Avevo sempre dei mal di testa immobilizzanti. Io sono una pittrice, mi sono diplomata alla scuola d’arte, specializzandomi in affreschi. Per mantenermi purtroppo dovevo fare anche altri lavori, ma la mia condizione fisica, a volte, era da ostacolo. Per placare questo dolore mi sono interessata prima allo zen: avevo bisogno di quella forza maschile per sopportare la malattia. Praticavo zazen ma con il tempo mi sono accorta che mi mancava il contatto con il mio corpo. Anche perché ero fisicamente molto rigida. La mia prima insegnante, donna, era un’allieva di uno studente diretto di Krishnamurti, che io amavo e seguivo attraverso i suoi libri e che ho avuto poi l’immensa fortuna di conoscere in India. Avevo 27 anni e andavo dalla maestra ogni giorno: per più di un anno sono stata la sua unica allieva. Ricordo all’inizio che ogni asana per me era una sofferenza, quando eseguivo una postura, invece di diminuire, il dolore aumentava. Mi sono domandata, quindi, perché stavo così male e perché piangevo continuamente. Per fortuna, non mi sono lasciata intimorire dal malessere, ma sono andata avanti cercando di comprendere il motivo dei miei disagi. Ho seguito, anche, B.K.S. Iyengar per tre anni, ma poi ho capito che non avevo più bisogno di quel tipo di forza fisica, maschile, e ho cercato un’altra strada, un’altra forza che mi ha portato a costruire ciò che oggi insegno.

 

Qual è il segreto per continuare?

Sicuramente prendersi del tempo per la pratica, ancor meglio se si fissano degli orari sempre uguali: fa parte della disciplina. Quando ho iniziato mi svegliavo alle 5 per fare yoga perché alle 8 dovevo essere al lavoro. Ero un’artista e si sa che chi appartiene a tale categoria è un po’ “fuori dal centro”. Io avevo bisogno di quel rigore per rientrare in me stessa.

 

L’insegnamento quando è arrivato?

Da subito. Ho frequentato anche i corsi per insegnanti tenuti da Carlo Patrian, l’unico corso in Italia. Poi ho conosciuto Swami Shankarananda, il mio maestro spirituale, un uomo straordinario, morto nel 2000. Il mio primo viaggio in India è stato per conoscere lui, ma quando sono arrivata, lui era partito per l’Africa. Da quel giorno in poi, sono tornata in India tutti gli anni, studiando con diversi maestri nei vari ashram dove ero l’unica occidentale. Ho viaggiato molto, soprattutto da sola, nel Paese facendomi ospitare dalle persone che incontravo nei vari villaggi. Sono stata ovunque anche in Ladak. Ho persino attraverso il Kashmir a cavallo, sempre in solitudine. Poi ho incontrato mio marito e mi sono fermata. Ho vissuto in Kerala per 4 anni e 1 anno nel Gujarat. Oggi vado solo per il mare.

 

Qual è la giusta intenzione per chi vuole intraprendere questo viaggio?

Viaggiare senza aspettarsi niente di particolare, ma vivendo ogni attimo del “viaggio” con consapevolezza, dedizione e umiltà.

Ottobre 2011

L’Istituto Yoga “Surya Chandra Marga” si trova in via Raffaele Sanzio, 23 a Piacenza. È facilmente raggiungibile sia in treno, sia in auto. Qui si insegna lo yoga Ratna, l’ayurveda e la danza indiana.

Per informazioni su corsi e seminari: tel. 0523/911671.

yogaratna.it

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