
Sally Kempton: meditare significa amare
di Bice Mattioli (con la collaborazione di Andrea Boni)
Illustrazione di Sarah Wilkins
Come tutte le persone che hanno esplorato la vita profonda, Sally Kempton, ne ha vissute molte. A inizio anni ‘70 era giornalista freelance per New York Times e Village Voice, per cui si occupava di argomenti di cultura popolare, arte e femminismo. La ricerca spirituale era l’ultima cosa a cui avrebbe pensato. Poi una sera sperimenta, senza “come” e senza “perché”, uno stato di profonda beatitudine mai provato e del tutto innocente. L’esperienza dura circa 24 ore, sufficienti per cambiare la sua vita e dedicarsi soltanto alla consapevolezza spirituale. Due anni dopo incontra il suo guru Swami Muktananda e lo segue fino alla sua morte nel 1982. Per 20 anni prosegue il cammino nel percorso monastico. Nel 2002 mette da parte questa esperienza diventando insegnante di meditazione, con la finalità di traghettare tale disciplina alle esigenze delle persone del nuovo millennio. Andrea Boni, suo discepolo e amico, ricorda il suo primo incontro con lei: «L’ho incontrata oltre 25 anni fa ed era ancora una monaca. Mi colpì la poca convenzionalità con cui affrontava argomenti difficili e le scritture yoga. Grazie a questa esperienza, negli anni, mi ha permesso di insegnare meditazione e filosofia a partire da chi avevo davanti, senza dare mai per scontato che la gente mi capisse». Usare un linguaggio semplice e legato alla vita quotidiana è un raro dono di saggezza dei grandi maestri.
Quando parlo di meditazione, spesso le persone mi guardano con aria spaesata: “è troppo difficile, mi annoio, meglio dormire”. Come motivare le persone a intraprendere la meditazione?
«Spesso si possono motivare le persone raccontando i benefici di una pratica quotidiana di almeno 10 minuti: la meditazione aiuta davvero quando si è depressi, abbassa la pressione sanguigna, riduce lo stress. Al tempo stesso, quando si insegna a meditare, è importante dare un metodo con il quale la gente possa provare gioia: una delle ragioni per cui insegno la meditazione sullo spazio del cuore è perché quando ci focalizziamo in quel punto è possibile sperimentare molto velocemente un flusso di benessere, perfino amore, e questo aiuta a rendere la meditazione un’esperienza più piacevole».
Qual è il tuo consiglio per avviare un principiante alla meditazione?
«Primo, è importante trovare una pratica di base semplice che si possa eseguire con regolarità: questo aiuta a rendere la mente stabile. Secondo, piuttosto che pensare alla pratica come a qualcosa che si fa perché è una buona cosa, è importante cercare in essa momenti di piacere. Per esempio, in che modo la pratica della consapevolezza aiuta a stare meglio nel corpo? Come ci si sente quando si ripete il mantra sintonizzandosi con la sua energia nel cuore? Se si cominciano a notare i cambiament i che avvengono nel nostro stato interiore durante la pratica, si proverà anche maggior piacere. Terzo, essere costanti nell’esperienza, fino a quando non si trova una pratica piacevole. Quarto, scoprire come lavorare con la mente. Riconoscere i suoi paradossi. La mente avrà sempre i pensieri, perché essere creativa è la sua natura. Ma la meditazione può andare avanti anche in presenza di pensieri. Così, all’inizio della meditazione, è necessario dare alla mente un punto di focalizzazione (il respiro o un mantra) e continuare a ritornare su quel punto, affinché essa possa divenire stabile. Il modo per colmare questo paradosso è conservare un atteggiamento accogliente verso qualsiasi cosa si manifesti, evitando tuttavia di restare intrappolati nel contenuto dei pensieri. Focalizzarsi e, contemporaneamente, accettare ciò che emerge, come parte della meditazione. Per esempio: se la mente non è calma, invece di preoccuparsi accogliere l’energia che c’è, riconoscendo che anche se i pensieri sono presenti, essi sono fatti di energia. Accogliere quell’energia crea uno stato di distensione».
L’Italia è un Paese profondamente cattolico, a volte la meditazione si confonde con la preghiera. Quali sono le differenze?
«Un grande mistico cattolico disse: “Pregare è parlare con Dio, mentre meditare è ascoltarLo.” Quindi, praticare la meditazione significa concedersi di essere silenziosi e ricettivi verso le sacre energie del cuore. Spesso è una buona cosa cominciare con una preghiera, specialmente per chiedere la grazia di meditare. Quando ti siedi calmo con l’intenzione di volgere la mente all’interno, verso il cuore, stai meditando. È l’intenzione che crea la meditazione. Proseguendo, sperimenterai cambiamenti nel tuo stato che saranno riconoscibili come stati meditativi. Ma all’inizio, è davvero sufficiente sedere con l’intenzione di rivolgersi all’interno».
Meditare e medicare hanno la stessa etimologia latina. Guarire e ammalarsi sono due facce della stessa medaglia?
«Molti studi hanno dimostrato che la meditazione ha proprietà terapeutiche. Nel silenzio della meditazione, spesso il corpo si risana».
Qual è il ruolo dell’Hatha Yoga nei workshop che conduci?
«Entrambi sostengono enormemente la pratica meditativa. Hatha Yoga, pranayama e meditazione si nutrono reciprocamente. Nei miei corsi ci sono sempre tutti e tre questi elementi».
Un buon insegnante yoga cura gli allineamenti nelle posizioni e crea delle sequenze appropriate ai bisogni dell’allievo. Come possiamo riconoscere un buon insegnante di meditazione?
«Un buon insegnante di meditazione è una persona che:
- sa trasmettere uno stato meditativo agli studenti;
- ha accumulato abbastanza esperienza per essere in grado di guidare uno studente attraverso i suoi blocchi;
- comprende e sa indicare le fasi sottili del processo meditativo;
- padroneggia tanto le tecniche da saper aiutare uno studente a trovare il modo di meditare giusto per lui».
Nel tuo lungo percorso per diventare un insegnante di meditazione e un formatore, quali sono stati gli ostacoli più impor tanti da superare?
«Una mente molto attiva e un Ego che non voleva lasciarsi andare. Per Ego intendo tutte le contrazioni della consapevolezza, che si manifestano come tensioni nel corpo e concet ti e credenze limitanti nella mente. Quando l’Ego “molla”, il Sé interiore splende naturalmente. Ma spesso l’Ego af ferra la presa di nuovo. Ecco perché il processo di trasformazione può essere lungo».
Nei tuoi workshop applichi differenti tecniche che includono mantra, suoni, visualizzazioni, respirazioni o silenzi. In base a quale criterio li scegli e perché?
«Quando lavoro con i principianti, tendo a fornire loro una par ticolare selezione di tecniche, che siano abbastanza facili da padroneggiare; se le persone meditano da un po’, mi piace proporre tecniche più sottili. La maggior parte delle volte, ciò che insegno è il risultato dell’energia che sperimento con quel particolare gruppo».
Ci stiamo confrontando con un alto livello di stress sociale e finanziario che ci dà un senso di vulnerabilità. Può il concetto buddhista di impermanenza darci un senso di sollievo e come possiamo applicarlo nella nostra vita quotidiana?
«Per prima cosa, preferisco ridefinire il termine “impermanenza” come “shakti”. Shakti è la forza vitale che sta sot to e all’interno di ogni cosa. Poiché essa danza, le cose sono costantemente in movimento, da qui l’impermanenza. Se si comprende che il fluire della vita rappresenta l’attività energetica del divino, che è in continuo movimento, allora si potrà imparare ad allinearsi con quel flusso. Ritrovando un nuovo senso del tempo. Così impareremo a riconoscere i momenti in cui le correnti energetiche intorno a noi sono in espansione o in contrazione, cominciando ad agire in armonia con il costante cambiamento. Allora sarà possibile danzare con la vita, sentendosi più distaccati dai risultati delle proprie azioni. Quando si sa che il cambiamento è inevitabile, si sa anche che tempi duri si trasformano in tempi migliori, e questo ci aiuta ad avere meno paura».
Ci sono approcci alla meditazione che siano più adatte agli uomini o alle donne?
«Alcune sono più maschili, come la pratica del testimone; e altre stimolano la polarità femminile, come la visualizzazione guidata, il movimento e il mantra. Ma, poiché le donne e gli uomini possiedono in loro caratteristiche maschili e femminili, sarà la singola persona a dover scegliere le pratiche più adatte, in modo che entrambe le polarità siano in equilibrio. È una buona cosa avere una pratica bilanciata per sviluppare sia la polarità maschile, che ci porta verso la liberazione dalle forme, sia quella femminile, che ci permette di deliziarci nelle forme».
Sei già stata in Italia, hai la sensazione di particolari attitudini dei praticanti italiani?
«Mi piace il modo in cui molti studenti italiani esprimono le emozioni, mi piace il loro entusiasmo a entrare nel cuore. Qui in Italia il livello di sensibilità intuitiva è molto alto e così la fame di conoscere e il desiderio di imparare. E, naturalmente, il cibo è favoloso».
Qual è il tema dello workshop che terrai a Reggio Emilia insieme ad Andrea Boni?
«Il seminario si intitola: “Tu chiamale se vuoi emozioni: imparare a guidare il cambiamento”. Insieme lavoreremo con l’energia da cui nascono le emozioni, utilizzando pratiche che possono trasformare sentimenti come la rabbia, la paura o la sensazione di essere sopraffatti. Sarà proprio l’energia di quei sentimenti a condurci più profondamente nell’esperienza dell’amore. L’obiettivo è aiutare le persone a imparare come usare l’energia delle emozioni per liberare mente e corpo, invece di essere alla mercé di quelle negative. Nel corso del seminario, utilizzeremo molte tecniche diverse che si fondano sul principio filosofico del Tantra secondo cui il corpo, la mente e il cuore fanno parte di un unico campo energetico, che può mostrarsi come una realtà limitata o assolutamente libera. Sarà un seminario sulla ricerca della propria libertà interiore anche in circostanze difficili, con moltissima pratica di meditazione e di asana».
Maggio 2013